
Una nuova ricerca dell’Università di Pisa, recentemente pubblicata sul Journal of Hazardous Materials, ha analizzato per la prima volta l’impatto negativo di diverse dosi di ibuprofene – un antinfiammatorio largamente impiegato durante la pandemia di Covid-19 – sulle angiosperme marine, ovvero sulle piante acquatiche.
Si tratta di specie fondamentali per l’equilibrio ecologico: proteggono le coste dall’erosione, producono ossigeno, sostengono la biodiversità e fungono da ambiente protetto per molte specie animali durante le loro fasi giovanili. Inoltre, sono cruciali nella lotta contro il cambiamento climatico, poiché hanno la capacità di assorbire e immagazzinare ingenti quantità di anidride carbonica dall’atmosfera. Questo processo, noto come “carbonio blu”, le rende un elemento chiave nella mitigazione del riscaldamento globale. Tuttavia questi ecosistemi vitali sono minacciati dall’inquinamento farmaceutico, che ha un impatto diretto sulla loro salute.
Dopo essere stato ingerito, infatti, il corpo metabolizza solo una parte del farmaco, mentre il resto viene eliminato attraverso urine e feci. Questi residui finiscono nei sistemi di depurazione delle acque, che non sono in grado di rimuoverli completamente, contaminando fiumi, mari e altri ecosistemi e minando l’intero equilibrio naturale.
Stando al rapporto OsMed 2023 dell’AIFA, l’ibuprofene è il secondo farmaco più acquistato in Italia, subito dopo il paracetamolo. Il consumo giornaliero medio è aumentato del 3,4% rispetto al 2022. Dunque, con un consumo che oltrepassa le 10.000 tonnellate all’anno, l’ibuprofene è diventato uno dei farmaci più diffusi a livello globale, e la sua richiesta continua a crescere.
La professoressa Elena Balestri, del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, spiega che per prevenire un ulteriore deterioramento delle praterie di angiosperme marine sarà fondamentale sviluppare nuove soluzioni tecnologiche che limitino il rilascio di ibuprofene e di altri farmaci negli ecosistemi naturali.