La pandemia ha accelerato esponenzialmente la trasformazione dell’organizzazione del lavoro innescata dal progresso tecnologico. La quarantena ha permesso di sperimentare su larga scala il telelavoro e lo smart working con cui gli spazi di lavoro sono diventati “mobili” imponendo una revisione delle attuali forme di tutela sul piano della salute e sicurezza. Una tutela che si evolve attraverso attività costanti di analisi e monitoraggio in materia, e che non può assolutamente tralasciare la prospettiva di genere.
Lo studio dell’EU-OSHA
Per questo, la European Agency for Safety and Health at Work ha combinato la rilevazione statistica dei rischi psico-fisici del lavoro telematico con la variabile del gender gap. I risultati confermano la necessità di un approccio differenziato anche con l’avvento dello smart working.
Ad esempio, sono le donne a subire di più i due principali rischi psicologici connessi al telelavoro ossia la pressione e il sovraccarico. Lo ha provato la recente ricerca condotta di Franklin et al. (2022) che conferma come il lavoro da casa può impattare negativamente sulla qualità della vita di tutti i dipendenti, ma in special modo delle lavoratrici (in termini tecnici il gap si aggira intorno all’11, 8%). Ulteriori dati a supporto di questa tesi sono arrivati nel 2023 con l’indagine di Yang et al. che ha distinto tra il lavoro da casa in sostituzione del lavoro d’ufficio (replacement) e il lavoro da casa oltre l’orario ordinario (extension). Se dal primo deriva un maggior benessere psicologico, dal secondo scaturisce un più alto rischio di depressione, a sua volta più frequente tra le donne.
È l’European Institute for Gender Equality a spiegare che parte dello svantaggio femminile negli effetti del work at homedipende dall’ineguale distribuzione del lavoro di cura. Il ruolo di caregiver continua a ricadere quasi esclusivamente sulle donne che hanno quindi più difficoltà a conciliare vita privata e lavoro, quando i confini tra le due dimensioni sfumano. Non a caso, diversi studi svolti durante il periodo pandemico hanno dimostrato un’esasperazione delle disparità di genere nella gestione del lavoro di cura in coppie con figli, data la chiusura delle scuole e il sovrapporsi di vita professionale e vita domestica.
Genere e smart working: i rischi fisici
La stessa dinamica si ripresenta anche nei dati sui rischi prettamente fisici dello smart working. I più diffusi sono mal di testa, affaticamento degli occhi e dolori muscoloscheletrici che, se analizzati nella prospettiva di genere, colpiscono di più le lavoratrici che i lavoratori. Il gap in questo frangente si attesta intorno al 9,3% e secondo quando sostenuto dalla ricerca di Graham et al. (2021) c’è nuovamente un legame con il sovraccarico del lavoro di cura che grava sulle donne. Questo perché, sempre nel periodo di lockdown, si è rilevata una riduzione dei problemi muscolo-scheletrici solo per la popolazione femminile che poteva contare su una divisione più equilibrata delle attività domestiche.
Nonostante queste evidenze, molti paesi europei continuano a legiferare sulla salute e sicurezza sul lavoro senza adottare un approccio di genere. I provvedimenti su smart working e benessere psicofisico seguono spesso una linea “gender blind” o “gender neutral” venendo applicate ugualmente a uomini e donne. Ma la parità formale non fa altro che ignorare ed esacerbare lo svantaggio femminile, impedendo di affrontare definitivamente la questione di genere anche nel telelavoro.
Primi esperimenti legislativi
Fortunatamente ci sono delle eccezioni come la normativa francese sul diritto alla disconnessione, in cui è stato messo nero su bianco l’obiettivo di promuovere una maggiore equità tra uomini e donne. Nello specifico si è previsto che le aziende con più di 50 dipendenti negozino ogni anno misure ad hoc sul tema. Un timido segnale di cambiamento a cui si affianca l’esempio dell’Irlanda. Nel Request Remote Work Bill di Dublino, infatti, si è esplicitamente segnalato che lo smart working può impattare diversamente sulla vita delle persone in considerazione del genere e dei carichi del lavoro di cura.
Primi passi, che si auspica siano l’inizio di una lunga serie di interventi e norme con cui ampliare l’impiego dello smartworking, nella piena e sostanziale tutela del benessere psicofisico di tutti, sia lavoratori che lavoratrici.
Fonte: zeromortisullavoro.it | Permalink