Educazione

La Cina introduce l’intelligenza artificiale a scuola

2 Mins read
la Cina introduce l'intelligenza artificiale a scuola

La Cina ha deciso: dall’autunno 2025, l’intelligenza artificiale diventa materia obbligatoria anche per i bambini delle scuole elementari. È la prima volta che un Paese introduce l’IA nei programmi scolastici su scala nazionale e in modo sistemico. L’obiettivo è chiaro: formare i futuri ‘soldati del digitale’, coltivare una generazione addestrata fin da piccola a pensare – e agire – come l’algoritmo.

Secondo il piano approvato dal Ministero dell’Istruzione cinese, ogni studente – a partire dalla scuola primaria – riceverà un minimo di 8 ore l’anno di formazione sull’IA. Non si tratta di lezioni teoriche: il percorso sarà progressivo, pratico e “immersivo”.

I bambini impareranno le basi dell’AI giocando, i ragazzi delle medie vedranno come applicarla alla vita quotidiana, mentre gli studenti delle superiori saranno spinti verso l’innovazione tecnologica e la progettazione di strumenti intelligenti.

Ma dietro la patina futurista e l’entusiasmo per la digitalizzazione dell’istruzione, si nasconde qualcosa di molto più profondo. Perché questa mossa ha tutto l’aspetto di una strategia politica.

L’IA come strumento geopolitico

Da anni, Pechino investe miliardi per diventare una potenza globale nell’intelligenza artificiale. È un progetto sistemico, che coinvolge ricerca, industria, infrastrutture digitali e controllo dei dati. E ora entra anche nella testa dei bambini.

Non è solo un piano educativo, ma un’operazione a lungo termine per plasmare menti e mentalità. Chi controlla gli strumenti dell’IA, controlla il futuro dell’economia, della sicurezza, dell’informazione. In una nuova guerra fredda tecnologica con gli Stati Uniti, la Cina ha deciso di partire dall’unico luogo dove può ancora costruire da zero: la scuola.

Un modello “insegnante-studente-macchina”

Il nuovo piano scolastico cinese introduce un concetto inedito: il modello “insegnante-studente-macchina”. L’IA non è più solo oggetto di studio, ma soggetto attivo del processo educativo. In classe entrano assistenti intelligenti, sistemi di valutazione automatizzata, chatbot che spiegano e correggono, software che misurano l’attenzione e le emozioni degli studenti in tempo reale.

Un’educazione sorvegliata, ottimizzata, algoritmica. Con un rischio enorme: disumanizzare l’apprendimento e addestrare i ragazzi a un modello di comportamento basato su performance, efficienza e conformismo digitale. Non è un caso che il piano preveda anche “l’insegnamento dell’etica dell’IA”, cioè una morale programmata a misura di sistema.

I bambini come risorsa strategica

La Cina è alle prese con una crisi demografica senza precedenti: nel 2024 la popolazione è diminuita per il terzo anno consecutivo. Secondo i dati ufficiali, le nascite sono scese a 9 milioni, mentre i decessi hanno superato quota 11 milioni. Il saldo è negativo, e gli esperti avvertono che la situazione è destinata a peggiorare nei prossimi anni.

Con meno giovani e un’economia in rallentamento, formare “talenti innovativi” è diventata una priorità nazionale. L’IA diventa così una leva per “rafforzare la competitività dei futuri cittadini”, come recita il documento ufficiale.

Si costruiscono così individui iper-performanti, capaci di collaborare con le macchine, obbedienti al sistema e pronti a entrare in una società dove ogni azione è tracciata, valutata e ottimizzata. Il rischio? Che la scuola, da luogo di crescita critica e libertà, diventi una fabbrica di esecutori algoritmici.

E in Occidente?

Anche in Europa si iniziano a vedere segnali simili. In Estonia, OpenAI ha firmato un accordo con il ministero dell’Istruzione per portare ChatGPT nelle scuole. Anthropic ha lanciato una versione di Claude pensata per studenti e ricercatori. Ma, finora, manca una visione politica e una riflessione pubblica strutturata.

Piaccia o no, la Cina non è immobile. Ha capito che l’intelligenza artificiale è il futuro – non solo dell’economia, ma della formazione dei cittadini. Per questo investe, in modo centralizzato e deciso, non solo nelle aziende ma anche nel sistema educativo.

E l’Europa? Ancora impantanata tra commissari, moratorie e pannicelli caldi. Se non cambia rotta, rischia di restare schiacciata nell’immobilismo, mentre altrove si progettano – e costruiscono – le società del futuro.

Fonte VDNEWS